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Conferenza stampa sulla manifestazione del 5 a Roma

“I partiti sono benvenuti ma noi siamo la società civile, la manifestazione è stata indetta da oltre 500 realtà associative”, dice Rete Pace e Disarmo. Sant’Egidio: “Il mondo della pace si sta risvegliando”. I sindacati: a rischio anche il tessuto industriale europeo e la democrazia.

Serviva una conferenza stampa a Roma degli organizzatori della manifestazione nazionale per la pace già convocata il prossimo 5 novembre. Sì serviva anche se il percorso non è ancora ufficiale, si sa che sono state chieste le piazze di concentramento (piazza della Repubblica) dalle ore 12 e di arrivo (piazza San Giovanni) ma ancora non ci sono i permessi ufficiali, che saranno comunicati nei prossimi i giorni. Serviva intanto per far capire che, come ha detto in apertura Sergio Bassoli della Rete Pace e Disarmo, “questa manifestazione nazionale è stata convocata dal basso, dalla società civile, ci sono oltre 500 realtà associative, laiche e cattoliche, organizzazioni locali, sindacati, che hanno promosso le mobilitazioni dell’appello Europe for Peace e sono nel comitato promotore”. E che “non è concepita come un evento, ma come un percorso”, che è iniziato il 25 febbraio scorso e è proseguito con manifestazioni locali, incluso quelle che si stanno organizzando in cento città per il fine settimana tra il 21 e il 23 ottobre, carovane di aiuti umanitari per la popolazione ucraina e altri appuntamenti. Aderiscono tra l’altro gli enti locali tramite l’Anci e l’Ali. Non è dunque una manifestazione dei partiti, che – ha specificato Bassoli – possono partecipare, come tutti, e sono bene accetti, come le persone a titolo individuale. Mentre Sergio Bassoli parlava, nella sala della protomoteca del Campidoglio, scorreva infatti sul video di spalle il lungo elenco delle adesioni  insieme al logo di Europe for Peace con la macchia nera con i confini dell’Ucraina al centro dell’Europa. 

La manifestazione nazionale a Roma del 5 novembre secondo Daniele Lorenzi, presidente nazionale dell’Arci, e Flavio Lotti della Tavola della Pace -che hanno parlato dopo – sarebbe dovuta essere convocata già prima ma Lotti ha comunque voluto ricordare che da quando è partita questa guerra, cioè dal 2014, sono state organizzate dai pacifisti 6 marce Perugia-Assisi per invocare la pace, “alle quali non risulta abbiano partecipato quelli che oggi criticano i pacifisti e vogliono metterci sotto processo”. 

Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci – che insieme a Rete pace e Disarmo e a Stoptewarnow ha dato vita all’appello e alle mobilitazioni di Europe for Peace – ha ricordato come non sia mai mancata la solidarietà alla popolazione ucraina, così come ai disertori e ai pacifisti russi incarcerati. “Non siamo equidistanti”, ha detto Marcon e ha voluto ricordare a questo proposito le parole di don Tonino Bello nell’editoriale “Noi pacifisti latitanti”. Marcon ha sottolineato come sia essenziale per tutto, dalle azioni contro il riscaldamento climatico alla sopravvivenza stessa della democrazia, che si cambi strada rispetto all’attuale corsa al riarmo. In un solo anno il riarmo è costato 50 miliardi di dollari, dieci volte lo stanziamento mondiale per dare vaccini anti Covid ai paesi più poveri. “Non si può continuare così, se riempiamo il mondo di armi è chiaro che poi verranno usate”. 

Secondo Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli “nel lessico deve tornare la parola pace, anche in quello della politica e questa manifestazione nazionale serve a questo, oltre che a dare sfogo all’inquietudine e al dolore allo stomaco di ciascuno per ciò che sta succedendo, per dire soprattutto all’Europa che le armi devono tacere”. Manfredonia si è detto contento di vedere che sul piano della pace “non ci sono divisioni  tra noi, tra laici e cattolici”. Mentre Fabrizio De Sanctis dell’Anpi ha voluto rammentare i Partigiani per la Pace degli anni ’60 e ’70, nati per segnalare come “senza la pace nessun ideale della Resistenza, dalla giustizia sociale alla democrazia, possa essere perseguito”. 

Paolo Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha voluto sottolineare come siamo di fronte a un risveglio del mondo della pace. “Purtroppo è mancato durante la guerra in Siria – ha notato – ma fortunatamente adesso c’è un risveglio perché non è possibile adattarsi alla guerra, convivere con lo sdoganamento della minaccia nucleare”. Impagliazzo ha detto che anche tra i profughi ucraini di cui Sant’Egidio si occupa si nota un bisogno di pace. “I nostri ragazzi, quelli che abbiamo accolto non volevano iscriversi a scuola a settembre nella speranza di poter tornare nelle loro scuole in Ucraina”, ha raccontato. 

“La guerra è un crimine, non è possibile nel 2022 riconoscerla come strumento legittimo per dirimere le controversie tra gli Stati”, ha detto, nel nome di Gino Strada, la presidente di Emergency Rossella Miccio. “La pace non si misura in chilometri quadrati di terreno conquistato, si costruisce ogni giorno come noi facciamo nei nostri ospedali”, ha aggiunto.  E ricordano proprio l’Afghanistan, dove dopo vent’anni di guerra sono tornati al potere i talebani, è anche chiaro come sia uno strumento che non funziona, controproducente. 

Christian Ferrari per la Cgil nazionale ha messo in rilievo inoltre come a pagare i conti della guerra sia sempre la popolazione civile, i lavoratori e le lavoratori e le fasce più povere della popolazione. “Non esiste una soluzione militare – ha chiosato – e non è possibile affrontare nodi come la transizione energetica o la tenuta del tessuto industriale continentale senza la pace, una escalation anzi finirebbe per mettere a rischio la stessa democrazia”. L’Italia, per la Cisl, deve farsi promotrice all’Onu e all’Unione Europea di una ripresa del negoziato per arrivare a una conferenza internazionale di pace. Mentre per Monica Usai di Libera “sono le organizzazioni criminali che alla fine guadagnano sulla guerra”. In chiusura, Silvia Stilli, portavoce delle ong di Aoi (Associazione delle Organizzazioni non governative Italiane di cooperazione e solidarietà internazionale) che con Stoptewarnow ha organizzato le varie carovane verso Leopoli, Odessa e Kiev, si è impegnata a continuare anche dopo il 5 novembre nell’organizzazione di invii di aiuti umanitari e staffette solidali con la popolazione dell’Ucraina. “Ci piacerebbe andare anche in Russia ad aiutare i pacifisti di là”, ha concluso quasi con un sogno ad occhi aperti.