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L’anno dei superprofitti e dei capitali in fuga

Le notizie recenti sui grandi gruppi industriali del mondo sono sconcertanti. I profitti sono saliti a livello stellare e soprattutto nei settori più inquinanti: energia fossile, trasporto marittimo e lusso. Il caso della Francia, dove ci si accanisce sulla riforma delle pensioni, è forse il più eclatante.

A leggere le notizie di stampa e a scorrere gli ultimi bilanci ed i recenti comunicati di stampa dei grandi gruppi internazionali si possono rilevare degli sviluppi interessanti e per molti versi inquietanti, sviluppi da mettere in relazione in particolare alle conseguenze portate dallo scoppio del Covid, dalla guerra in Ucraina, dalla legislazione protezionista varata di recente da Biden negli Stati Uniti. Ci concentriamo nel testo soltanto su due di tali conseguenze.  

I profitti dei gruppi multinazionali nel 2022

I risultati economici ottenuti dai grandi gruppi internazionali nel 2022 si sono rivelati, in molti casi, clamorosi. Vediamo di seguito le vicende relative ad un Paese abbastanza rappresentativo, nonché soprattutto ad alcuni settori di attività che sembrano particolarmente benedetti dalla sorte. 

Il caso della Francia

Prendiamo il caso della Francia. Sono stati pubblicati i bilanci relativi al 2022 delle 40 società che compongono il principale indice di borsa francese, il CAC 40, e le cifre economiche e finanziarie appaiono senza precedenti (Bezat, 2023, a). Mentre tutte le imprese citate hanno aumentato, spesso in misura rilevante, le loro vendite nell’anno, 38 tra le 40 società elencate hanno realizzato un utile compressivo di 152 miliardi di euro, l’11% in più dell’anno precedente, mentre viene annunciata una ricchissima distribuzione di dividendi, superiore del 29% a quella del 2021. Chi ha battuto il primato dei profitti è una società non quotata, la CMACGM, di cui parleremo più avanti e che ha guadagnato nell’anno 23,5 miliardi di euro, quasi il 40% in più rispetto al 2021. 

I risultati confermano l’aumento del potere delle grandi famiglie che controllano molti dei grandi gruppi, con molti dei migliori risultati ottenuti dalla stessa CMACGM, dalla LVMH – il cui arrogante proprietario, Bernard Arnault, è ormai l’uomo più ricco del mondo – e poi dall’Oreal, da Hermés, da Bouygues, da Michelin, da Dassault.

A questo proposito si può ricordare un’analisi del premio Nobel Thomas Piketty di qualche tempo fa che mostrava come le prime 500 famiglie francesi abbiano visto il loro patrimonio passare negli ultimi dieci anni da 200 a 1.000 miliardi di euro. Intanto il governo, con il suo progetto di riforma delle pensioni, mira a togliere risorse alle classi meno agiate. 

Incidentalmente, il successo delle grandi famiglie in Francia come in gran parte nel resto del mondo smentisce ancora una volta il vecchio dogma anglosassone della superiorità di prestazioni economiche dell’impresa ad azionariato diffuso e a controllo manageriale.  

Il caso dei tre settori 

Al di là della Francia, grazie al Covid e alla guerra in Ucraina, i grandi gruppi, in particolare in alcuni settori, hanno guadagnato tanti soldi come non era mai successo nel mondo. Nella gara ai profitti si sono distinte tre attività: quelle dell’energia fossile, del trasporto marittimo di merci, infine del lusso.

Per quanto riguarda l’energia, veniamo informati che la Exxon ha ottenuto nel 2022 profitti netti per 56 miliardi di dollari; la Shell per 39,9; la Chevron per 36,5; la Bp per 27,7 ed infine la Total per 21. Questi risultati, che ammontano in totale a 181 miliardi di dollari, appaiono in forte crescita rispetto all’anno precedente. Nel suo piccolo, anche Eni ha compiuto il miracolo, guadagnando nell’anno 13,3 miliardi di euro, 9 in più rispetto al 2021. Comunque tali cifre, che sembrano enormi, impallidiscono rispetto a quelle della saudita Aramco, che ha guadagnato 161 miliardi di dollari nell’ultimo anno, cifra mai vista, con una crescita del 46% rispetto al 2021. Tale risultato appare equivalente a quello delle prime quattro imprese occidentali dell’energia messe insieme.   

Anche i profitti dei tre più grandi gruppi del trasporto marittimo hanno raggiunto livelli record di profitti nel 2022. Così la Maersk, la compagnia danese, ha registrato un utile netto di 27,2 miliardi di euro nel 2022, con un aumento del 62% rispetto all’anno precedente; la francese CMACGM, dal canto suo, ha ottenuto, come già accennato, un profitto di 23,5 miliardi, il più alto risultato dell’anno tra tutte le compagnie francesi, rispetto ai circa 17 miliardi del 2021 (Bezat, 2023, b). Risultati eccezionalmente alti sembra aver raggiunto anche la italo-svizzera MSC del finanziere Aponte, la più grande società del settore, che però non pubblica i bilanci. E’ stato calcolato che nell’esercizio 2021-2022 la compagnia marittima abbia guadagnato intorno ai 25 miliardi di euro, circa il doppio che nell’esercizio precedente allo scoppio del Covid.

I tre gruppi stanno utilizzando tali somme anche in un grande sforzo di diversificazione (Bouissou, 2023), per investire nei servizi ad alti margini nella catena di fornitura globale, penetrando in forze nel settore della logistica, con la presenza tra l’altro nel trasporto ferroviario, stradale, aereo, prevedendo così di diventare degli integratori, piuttosto che dei semplici trasportatori di container. Inoltre, in particolare la MSC sta impiegando molte risorse nell’accrescimento della sua flotta di circa un terzo; negli ultimi due anni ha ordinato 287 nuove navi e tra l’altro ha firmato dei contratti con i cantieri cinesi per la costruzione di un rilevante numero di navi porta-container ciascuna con un capacità di trasporto di più di 24.000 teu, le più grandi del mondo, seguendo una strategia di abbattimento dei costi attraverso economie di scala, per ridurre così i prezzi e guadagnare quote di mercato, attualmente al 18% del totale mondiale.

Anche il settore del lusso, sia pure con risultati quantitativamente inferiori in valori assoluti rispetto a quelli degli altri due settori – e nonostante che la Cina, causa Covid, nel 2022 non abbia risposto troppo bene -, ha raggiunto traguardi molto interessanti. I profitti del gruppo più importante, la LVMH, hanno raggiunto i 14,1 miliardi di euro, con un incremento di circa il 20% rispetto all’anno precedente. Le prospettive per il 2023 – vista anche la ripresa cinese, il mercato più importante del mondo insieme a quello degli Stati Uniti- si presentano ancora più rosee.

Merita una breve nota anche il settore delle grandi imprese digitali, che presenta di recente grandi complessità. Segnaliamo qui che la Apple ha registrato nel 2022 utili netti per 99,8 miliardi di dollari, risultato non molto distante dalla saudita Aramco; mentre la Microsoft, dal canto suo, annuncia per lo stesso anno una cifra di 72,7 miliardi, che è comunque il doppio della Chevron.  

Alcuni “inconvenienti”

I grandi profitti annunciati da molti grandi gruppi nel 2022 non sono stati ottenuti senza alcuni “inconvenienti” rilevabili su diversi fronti. 

Le imprese operanti nel settore delle energie fossili hanno continuato a produrre guasti enormi all’ambiente; solo lo stop rapido all’estrazione di gas e petrolio dal sottosuolo potrebbero contribuire in maniera decisiva a salvare il pianeta, ma i grandi gruppi non sembrano avere alcuna intenzione di andare per tale strada: continuano a ritmo sostenuto gli investimenti nelle risorse fossili e languono invece, nonostante tutti i proclami contrari, quelli nelle energie rinnovabili e nel risparmio energetico. Intanto negli Stati Uniti Joe Biden, che si vorrebbe il campione dell’ecologia, ha appena autorizzato l’avvio di un grande investimento, per 8 miliardi di dollari, nel settore petrolifero in Alaska da parte della ConocoPhillips, nonostante i gravi problemi che apporterà in campo ambientale e climatico (Friedman, 2023).

Nel settore del trasporto marittimo e in quello del lusso diventano particolarmente importanti le questioni relative alle condizioni di lavoro. La più importante società operante nella prima attività, in cui lavorano 2 milioni di persone, e che contribuisce notevolmente ai livelli di inquinamento del mondo, la italo-svizzera MSC, è nota per il non felice trattamento riservato ai suoi addetti. Il numero dei suoi occupati sulle navi e negli uffici era, sino a qualche tempo fa, così ridotto da raggiungere un livello incredibilmente basso e con paghe risicate, puntando tutto sui bassi costi (The Economist, 2023).

Va segnalato che a volte i proprietari delle navi abbandonano del tutto la loro nave e gli addetti restano così senza alcun sostegno né retribuzione, lasciati a se stessi magari in un porto lontano da casa; nel 2022 sono stati segnalati ufficialmente 118 casi di questo tipo, ma quelli reali sono ancora maggiori. Con lo scoppio del Covid, poi, più di 300.000 addetti sono stati lasciati sulle loro navi ben dopo la scadenza del loro contratto, senza che nessuno se ne preoccupasse, mentre qualcosa di simile è successo anche con la guerra in Ucraina (O’Connor, 2023).

Anche il settore del lusso ha le sue colpe per l’inquinamento ambientale in tutto il ciclo delle sue lavorazioni e oltre. Secondo un rapporto dell’ONU, la moda sarebbe responsabile dell’8-10% delle emissioni globali di CO2, mentre il 70% dei tessuti prodotti a livello mondiale è composto di derivati del petrolio. Sono da rilevare, anche in questo caso, le pessime condizioni di lavoro nei processi di produzione decentrati; ricordiamo a questo proposito il disastro di diversi anni fa occorso in Bangladesh (Rana Plaza), disastro nel quale persero la vita 1.000  persone e restarono feriti altri 2.500 addetti e che ha contribuito a rivelare in quali rovinose condizioni si svolga, in molti casi, la lavorazione dei prodotti. Anche le inchieste di Roberto Saviano nel Sud d’Italia, inserite nel suo libro “Gomorra”, mostravano come anche in Italia le imprese non scherzassero. E da allora la situazione non sembra essere migliorata in maniera adeguata.

Bisogna accennare al fatto che la crescita dei profitti dei grandi gruppi tende a contribuire in modo significativo all’aumento del divario nelle ricchezze e nel potere di pochi nei confronti di molti, mentre essa appare una componente essenziale dell’innalzamento del livello di inflazione, come a suo tempo rilevato anche dal presidente Usa oltre che dalla BCE. Molte grandi società hanno gonfiato i prezzi al di là del ragionevole, con la scusa di recuperare la crescita dei costi delle materie prime e dei salari. In Francia, secondo alcuni studi (N. S., 2023), nell’ultimo trimestre del 2022 gli aumenti dei prezzi delle imprese volti ad aumentare i loro margini sarebbero all’origine del 37% della crescita nei livelli di inflazione. 

Per quanto riguarda infine le questioni fiscali, accenniamo soltanto al fatto che le grandi società di trasporto marittimo hanno in genere, o come suol dirsi “per tradizione”, il loro domicilio nei paradisi fiscali e non pagano praticamente imposte. Così la Maersk ha versato soltanto il 3% di imposte sui suoi enormi profitti del 2022, mentre il settore è esentato dalla regola varata dall’OCSE secondo la quale le grandi società internazionali dovrebbero pagare un minimo del 15% sugli utili annuali.   

Due casi di fuga dall’Europa

Un altro aspetto dei mutamenti in atto nel mondo delle grandi imprese, per quanto riguarda in particolare l’aumento dei costi dell’energia e la legislazione di Biden, fa riferimento alla tendenza che si fa strada in diversi casi: quella di fuggire quanto più possibile dall’Europa per andare a localizzare una fetta crescente dei propri business negli Stati Uniti e/o in Cina. Tale fenomeno può essere esemplificato da due casi tedeschi esemplari, quelli di Volkswagen e di Basf, mentre si profila anche la spinta di diverse società europee (ultima a farlo la British American Tobacco) a trasferire la quotazione in Borsa delle loro azioni da Londra a Wall Street.

La Volkswagen

La grande società dell’auto teutonica, la Volkswagen, nel 2022 aveva annunciato con molto clamore l’intenzione di creare sei fabbriche di batterie per le auto elettriche in Europa. Ma nel mese di marzo si apprende che, mentre tale progetto è in qualche modo in difficoltà e per lo meno rimandato per quanto riguarda tre delle sei fabbriche, la società sta pensando ad un impianto per le batterie in Canada e ad uno negli Stati Uniti, in ambedue i casi per approfittare, tra l’altro, dei miliardi di dollari di incentivi che potrebbero venire all’azienda dall’Inflation Reduction Act (IRA) varato da Biden (Annichiarico, 2023). E questo, secondo le dichiarazioni dei responsabili dell’azienda, in attesa di capire se e cosa farà a sua volta l’Europa. In ogni caso il progetto per il nostro continente ha molte probabilità di essere ridimensionato, pur nell’ambito di un piano di investimenti da 120 miliardi di dollari nel campo delle auto elettriche appena annunciato dalla società tedesca per i prossimi cinque anni.

Il gruppo ha calcolato che, allo stato dei fatti, il vantaggio finanziario di fare un investimento negli Stati Uniti invece che in Europa ammonta a 8 miliardi di dollari. Così si stima che circa il 70% dei progetti annunciati per costruire delle fabbriche di batterie in Europa potrebbe essere abbandonato, ritardato o ridimensionato (Guichard, 2023). Per mantenere in vita i progetti, il settore reclama dall’Europa energia meno cara, una strategia efficace di approvvigionamento delle materie prime critiche e un programma di aiuti equivalente a quelli messi in campo da Pechino e da Washington (Guichard, 2023). Intanto la cinese CATL sta varando due stabilimenti in Europa per la produzione di batterie investendo 9,3 miliardi di dollari nei due progetti, e sta valutando se aprirne anche un terzo. Evidentemente l’azienda non ha bisogno di grandi aiuti per andare avanti nel Vecchio continente.

Va sottolineato, più in generale, che oggi la produzione di batterie è dominata in misura schiacciante dall’Asia (dai produttori cinesi e, in seconda fila, da quelli coreani e infine giapponesi), mentre le iniziative europee e statunitensi in proposito appaiono comunque in rilevante ritardo. 

Da ricordare inoltre che la Volkswagen ottiene all’incirca il 40% delle sue vendite globali e il 50% dei suoi profitti in Cina, dove possiede 33 stabilimenti e occupa 100.000 persone (siamo intorno al 40% delle vendite globali nel Paese asiatico anche per la Mercedes Benz, mentre la BMW “si accontenta” di circa il 33%). Una succursale del gruppo, l’Audi, annuncia il varo di un nuovo stabilimento in Cina per una spesa di circa 2,8 miliardi di dollari, che dovrebbe produrre circa 150.000 auto elettriche all’anno. Il peso dell’Europa nelle attività del gruppo appare così, anche grazie alle ultime novità, sempre meno importante. 

La Basf 

Già prima di questi annunci abbiamo assistito qualche mese fa ad un altro spettacolo di spinta alla delocalizzazione, quello della Basf, il più grande gruppo chimico del mondo, sempre tedesco, con un fatturato complessivo per il 2022 di 87,3 miliardi di dollari. Partendo dalla constatazione di un forte aumento dei costi energetici in Europa e della previsione che nel 2030 il mercato mondiale della chimica si concentrerà per il 50% in Cina mentre quello dell’Europa si ridurrà a soltanto il 10% del totale, l’azienda sta ridimensionando rapidamente alcuni suoi business nel nostro continente, in Germania in particolare, chiudendo alcuni stabilimenti e riducendo la manodopera di qualche migliaia di unità, mentre sta avviando un forte potenziamento delle sue attività produttive in Cina, con uno stanziamento di 10 miliardi di dollari.  L’amministratore delegato del gruppo ha sottolineato che se non si è presenti fortemente in Cina, per un grande gruppo del settore, non si va da nessuna parte.

Visto lo stato delle cose e la confusione del dibattito in corso negli uffici della città belga nonché nelle principali capitali dell’Unione, la probabilità che a Bruxelles si riesca a rovesciare il tavolo e ad invertire le decisioni dei grandi gruppi, tedeschi come degli altri paesi, appare quasi nulla. Per altro verso, l’Unione Europea era partita lancia in resta per contrastare gli editti protezionistici di Biden, ma si è ritrovata con una Ursula Von der Leyen che, dopo un viaggio negli Stati Uniti, è tornata con la sola preoccupazione di prendersela con la Cina e con i suoi prodotti ecologici, su tutti i punti e in tutte le forme. 

Testi citati nell’articolo

-Annichiarico A., Vw batterie dall’Est Europa negli Usa per 10 miliardi $., Il Sole 24 ore, 9 marzo 2023

-Bezat J-M., L’insolente santé des sociétés du CAC 40, Le Monde, 10 marzo 2023, a 

-Bezat J-M., CMACGM, la plus profitable des entreprises francaises, Le Monde, 5-6 marzo 2023, b

-Bouissou J., les géants des mers, nouveaux rois de la logistique, Le Monde, 4 marzo 2023

-Guichard G., Menace sur les « gigafactories » européennes, Les Echos, 14 marzo 2023

-Friedman L., Administration to approve huge Alaska oil project on Monday, two officials say, www.nytimes.com, 12 marzo 2023  

-N. S., Les entreprises ont alimenté la hausse des prix en reconstituant leurs marges, Les Echos, 16 marzo 2023

-O’Connor S., The plight of ship crews stranded at sea, www.ft.com, 7 marzo 2023

The Economist, High risk on the high sea, 11 marzo 2023