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I problemi della componentistica auto nazionale

Nella componentistica auto in Italia ci sono 2.200 imprese, per lo più di piccole o medie dimensioni, con 165mila addetti. Con l’arrivo dell’auto elettrica il settore rischia di perdere metà degli occupati. Finora il governo ipotizza solo 300-400 milioni l’anno per aiutare le ristrutturazioni.

L’arrivo delle vetture elettriche

Nei faticosi processi di ristrutturazione dell’industria mondiale, siamo apparentemente ad una svolta importante per un intero settore. Il 2021 sarà tra l’altro ricordato come l’anno in cui finalmente, con sollievo di molti, anche se non di tutti, la produzione e la vendita di auto elettriche saranno decollate. In questo anno si dovrebbero vendere circa 4 milioni di esemplari nel mondo, di cui 2,5 milioni in Cina e più di 1,1 milioni nell’UE, mentre la Morgan Stanley prevede che nel 2030 il 40% delle vendite nel mondo sarà costituito da tale tipo di vetture, con il collocamento in quell’anno sul mercato di 36 milioni di esemplari. 

Va incidentalmente ricordato che ancora soltanto il 10% del parco auto circolante sarà allora costituito da vetture elettriche e che nello stesso anno circoleranno ancora 1,5 miliardi di auto a propulsione tradizionale, 150 milioni di unità in più di oggi, ciò significa che il consumo di carburanti tradizionali sarà ancora perlomeno simile a quello odierno (Alsford, 2021). 

Per salvare il pianeta bisognerebbe in effetti fare molto di più già da adesso. Tra l’altro, al contrario che in Cina e nell’UE, negli Stati Uniti il settore cresce ancora molto lentamente.

Le conseguenze generali sul settore della componentistica

Le nuove vetture comportano un salto tecnologico di rilievo e un cambiamento di segno nel settore. 

La nuova filiera dell’auto elettrica sarà costituita da un’attività di estrazione e produzione dei minerali richiesti in particolare dalle batterie (tra i metalli rari si fa riferimento in particolare a cobalto, litio e nickel, mentre per quelli più tradizionali al rame), dalla produzione e riciclo delle stesse (il valore della batteria costituirà circa il 40% di quello totale delle nuove vetture, mentre le materie prime peseranno per circa il 50% del costo delle stesse batterie) e dall’assemblaggio dei veicoli. 

Parallelamente, sta andando avanti una progressiva digitalizzazione delle vetture tanto che, come è noto, qualcuno parla ormai di telefonini a quattro ruote. L’elettronica presente nelle vetture potrà costituire a sua volta la parte più rilevante del costo. E lasciamo da parte l’arrivo delle vetture a guida autonoma.

Bisogna a questo punto ricordare che mentre un’auto tradizionale comprendeva al suo interno circa 30.000 componenti diversi, in quella elettrica ne bastano circa 7.000 e anche quelli che continueranno a servire – dalle ruote agli assali, ai freni e così via – dovranno essere profondamente rinnovati. Invece addio a marmitte, bielle, pistoni, valvole, ecc..

In tale quadro molto movimentato segnaliamo le strategie in atto di due grandi imprese, la tedesca Bosch e la taiwanese Foxconn. 

La prima società è la più importante al mondo nel settore della componentistica dei veicoli, avendo fatturato nel 2020 circa 72 miliardi di dollari e ha intrapreso un gigantesco programma di riconversione dalla meccanica al digitale e all’elettrico. 

Dal canto suo, la Foxconn, grande impresa taiwanese sino ad oggi soprattutto nota per l’attività di produzione in conto terzi dei telefonini, in particolare per la Apple, ha avviato un grande programma di inserimento nel settore. Coinvolgendo circa 1.200 imprese nel progetto, sarà in grado di offrire alle case automobilistiche un pacchetto integrato di componenti che costituiranno sino a circa l’80% del valore dello sviluppo e produzione di un’auto; alle case non resterà quindi che da gestire all’interno il 20%. Inoltre la stessa società sta pensando di produrre in casa vetture in conto terzi.

Ricordiamo ancora la recente penuria di componenti, ciò che comporta una rilevante caduta dei livelli produttivi (si stima che nel 2021 la perdita di produzione sarà all’incirca di 8-9 milioni di vetture, con una possibile riduzione dei livelli di fatturato sino a 250 miliardi di dollari a livello globale); mentre tale penuria potrebbe durare sino al 2023, si registra ora anche l’aumento dei costi delle materie prime. 

In questa situazione si va creando una forte tensione tra case dell’auto e società di componentistica (Béziat, 2021). Così i componentisti accusano le case di tagliare le commesse senza preavviso, da un giorno all’altro. Qualcuno sta anche chiedendo i danni. Ma intanto la Renault chiede i danni alla Bosch per il blocco delle forniture senza preavviso e forse Stellantis medita di fare qualcosa di simile con altri fornitori. 

La componentistica nazionale 

E’ in questo quadro difficile che vanno lette la situazione e le prospettive della componentistica auto nazionale.

L’industria italiana del settore comprende circa 2.200 imprese, collocate per la gran parte al Nord; esse occupavano alla fine del 2019 circa 165.000 persone, con un fatturato di circa 60 miliardi di euro, ridottosi a circa 54,9 nel 2020 anche a causa del Covid (Armellini, 2021). Per una parte consistente si tratta di piccole e medie imprese a capitale familiare, mentre circa un terzo della produzione è controllato dal capitale straniero. Le due imprese più grandi, Magneti Marelli e Pirelli, non sono certo ai primi posti nella classifica delle principali imprese del settore a livello mondiale e inoltre sono controllate, la prima da capitali americani, la seconda cinesi. 

Rilevanti appaiono le esportazioni, pari a circa 22 miliardi di euro nel 2019 (ciò che contribuisce al saldo positivo della bilancia commerciale dell’Italia nel settore e pari a 6,5 miliardi di euro nel 2019), concentrate in particolare verso la Germania, mentre esistono timori relativi al fatto che con la creazione di Stellantis venga ad indebolirsi il rapporto privilegiato che esse avevano con la FCA, che assorbiva circa la metà del loro fatturato. Inoltre si valuta che la stessa Stellantis mediti di riportare all’interno circa il 20-30% delle lavorazioni sino ad oggi decentrate.

Il sistema della componentistica nazionale appare in generale abbastanza debole, soprattutto nel nuovo ambiente competitivo; avrebbe bisogno di accrescere le dimensioni delle imprese, anche attraverso processi di fusione/integrazione, di un maggiore livello di internazionalizzazione, di un aumento delle spese di ricerca e sviluppo, di una maggiore diversificazione produttiva, di maggiori risorse finanziarie per portare avanti tali programmi. 

Più in generale, il rapido sviluppo delle nuove tecnologie comporterebbe la necessità di un grande impegno nella trasformazione dei prodotti e dei processi produttivi, impegno che molte delle imprese difficilmente riusciranno da sole a coprire.  

Come segno delle difficoltà in atto, nei mesi scorsi abbiamo così assistito ai casi di GKN, di Gianetti Ruote, di Timken, che chiudono i loro siti produttivi nel paese, con la perdita conseguente di molte centinaia di posti di lavoro. Si teme che tali casi rappresentino solo la prima ondata di un possibile, rilevante, ridimensionamento del settore in Italia.  

Incidentalmente, si può ricordare che la Francia non sembra andare meglio con le situazioni di crisi, anche se la situazione generale del settore nel paese è molto migliore, arrivando ad occupare circa 400.000 persone e registrando la presenza di alcune grandi imprese, da Faurecia e Valeo. Niente a che vedere con quella tedesca, che arriva ad occupare circa 1,5 milioni di addetti e vede la presenza di alcune delle imprese più importanti a livello mondiale.  

Nel paese transalpino si registrano in questo momento i casi in particolare della Fonderie de Bretagne, della Fonderie du Pitou, di quella di MBF Aluminium di Jura, con la perdita in questo caso di 260 posti di lavoro, infine della fonderia Sam, con 350 posti di lavoro minacciati (Leclerc, 2021).

Sarebbe necessario nel nostro paese un grande piano pubblico che sostenga la necessaria e urgente ristrutturazione del settore; in caso contrario sembra che all’incirca la metà delle imprese sia minacciata di chiusura. Per il momento a livello governativo il vice ministro Gilberto Pichetto Fratin ha promesso la creazione di un fondo per la ristrutturazione del settore dell’automotive (non specificamente di quello della componentistica) con una dotazione di 300-400 milioni all’anno per dieci anni. L’idea appare in sé corretta, ma gli stanziamenti sembrano troppo ridotti rispetto alle necessità.           

Testi citati nell’articolo

-Alsford J., Accelerating the electric vehicle transition, www.ft.com, 28 ottobre 2021

-Armellini A., Italy’s auto suppliers feel the pinch, www.ft.com, 28 ottobre 2021

-Béziat E., Zizanie à tous les étages dans la filière automobile, Le Monde, 28 ottobre 2021 

-Leclerc A., A Saint-Claude, l’asphyxie d’une certaine « culture de l’industrie », Le Monde, 30 ottobre 2021