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Gli orfani invisibili della pandemia

La pandemia in Italia ha fatto almeno 130 mila vittime, quasi tante quante quelle della seconda guerra mondiale. Le imprese hanno ottenuto quasi 115 miliardi di ristori e sgravi. Ma invece di rafforzare il welfare si parla di reddito di cittadinanza come metadone e nessuno aiuta gli orfani per Covid.

La pandemia da marzo 2020 ha ucciso almeno 130 mila persone, in gran parte persone con fragilità e in età avanzata. I numeri delle vittime sono comparabili a quelli della seconda guerra mondiale in cui l’Italia ha registrato oltre 150 mila vittime tra i civili in cinque anni.

La narrazione comune della pandemia indica i giovani tra le ‘vere’ vittime della pandemia, in realtà le persone più anziane hanno pagato il prezzo più caro. Gli under 50 che hanno perso la vita sono 1.500 persone, gli under 60 circa 6 mila a cui vanno aggiunte oltre 120 mila vittime tra le persone più anziane. 

La pandemia ha anche accelerato bruscamente lo spopolamento del Paese che ha conteggiato un saldo negativo di circa 350 mila persone tra nuove nascite e decessi nel 2020.

Le morti dei seimila under 60 è un segnale di come diverse migliaia di famiglie con ragazzi in età scolare, dediti agli studi universitari o in cerca di una prima occupazione si possano trovare improvvisamente in difficoltà per la mancanza del reddito del padre o della madre. La politica dei sussidi e dei ristori per arginare l’impatto della pandemia sulle diseguaglianze paradossalmente non ha previsto un fondo specifico per i familiari superstiti delle vittime del Covid, nonostante non servano fondi ingenti per intervenire, nonostante nel 2020 il governo abbia stanziato quasi 115 miliardi tra ristori, sussidi alle imprese, sostegno al reddito, estensione della cassa integrazione e diverse altre modalità di aiuto alle famiglie e imprese e nonostante ancora nel 2021 le casse pubbliche stiano ancora pagando le pensioni agli orfani della seconda guerra mondiale.

La vicenda degli orfani del Covid, scaturisce proprio dal loro numero probabilmente troppo esiguo per essere appetibile per finalità elettorali e perché non trovano un ascolto come gruppo di pressione a differenza di altre categorie, ad esempio i trasporti e la ristorazione, che sono alla luce dei riflettori dall’inizio della pandemia per le difficoltà in cui versano. Invece l’attenzione ai bisogni delle nuove povertà e delle nuove situazioni di disagio sociale sono state ignorate sia dalla politica sia dalla narrazione della pandemia. 

La discussione su un nuovo modello di welfare più universalistico e in grado di intervenire in maniera più incisiva sull’Italia post Covid è venuto rapidamente a mancare, mai entrato definitivamente nelle priorità del governo che vede solo la crescita economica come obiettivo. Le poche conquiste avvenute nel passato recente quali il reddito di cittadinanza, una misura universale di welfare nuova per l’Italia ma consolidata nei paesi dell’Unione Europea, oggi sono state rimesse in discussione per limitarne gli effetti ad una platea più ristretta di utenti invece di allargarla ad un novero più ampio di persone. Le politiche di sostegno dei redditi durante l’emergenza hanno mostrato l’urgenza e la necessità di un sistema di welfare più ampio. Non a caso la cassa integrazione è stata rivolta anche alle piccole imprese, è stato introdotto il reddito di emergenza fino a misure di sostegno per i lavoratori autonomi. Il rischio è ritornare allo status quo ante pandemia se non pre reddito di cittadinanza con una porzione ampia della popolazione che versa in una situazione di povertà assoluta e un tessuto sociale sempre meno coeso.

Una buona politica post pandemia dovrebbe essere in grado di incidere profondamente sul modello di welfare ampliando la platea dei beneficiari per contrastare sia la povertà sia numerosi aspetti delle diseguaglianze sociali e di reddito.

Un paese unito e solidale non può trascurare proprio i ragazzi che pagano la pandemia con la perdita di un genitore. Il governo e tutte le forze politiche dovrebbero convergere senza divisioni per aiutare questi ragazzi, per garantire loro gli studi e un tenore di vita dignitoso nel tempo. Il concetto di patria sbandierato tra mille retoriche proprio nel loro caso dovrebbe trovare un senso compiuto tramite la realizzazione di un fondo per le famiglie delle vittime della pandemia, gli orfani invisibili che sono un simbolo di nuove povertà e disagi sociali. 

A livello locale le regioni e i comuni potrebbero fare la loro parte garantendo la gratuità delle rette degli asili nido e delle mense scolastiche, la gratuità dei libri scolastici e degli altri servizi pubblici, stipulando accordi con gli atenei per la gratuità della retta senza inciampare dentro pastoie burocratiche che spesso limitano l’accesso ai servizi pubblici proprio da chi ne ha più bisogno.

Ogni partito dovrebbe sentire il dovere di fornire una risposta senza scadere nel disprezzo mostrato riguardo al reddito di cittadinanza additato come metadone o paghetta di Stato dimostrando una visione colpevole dell’indigenza, assieme all’indulgenza dei sussidi alle imprese, circa 45 miliardi nel 2020, considerati dalle stesse persone atti dovuti nonostante l’impatto devastante per i conti pubblici.

Il periodo della campagna elettorale per l’elezione del sindaco dei maggiori comuni italiani potrebbe essere l’occasione per contagiare i programmi delle forze politiche e impegnarle ad agire rapidamente riscrivendo il comodo slogan dei giovani colpiti dalla pandemia che ha dimenticato alcune migliaia di giovani orfani.