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I movimenti sociali possono salvare la democrazia?

Nella pandemia i movimenti sociali hanno cambiato le proprie forme di protesta, continuando a lottare per i diritti e nuovi spazi di partecipazione. Nel mondo post-Covid il percorso per raggiungere la giustizia sociale e ambientale passa da un maggiore coinvolgimento dei cittadini nella vita pubblica.

Contro ogni previsione, le prime fasi della pandemia hanno dato luogo a una nuova ondata di proteste. Mentre la paura del contagio e le misure di lockdown condizionavano fortemente la libertà di movimento e sembravano compromettere l’azione collettiva, gli attivisti dei movimenti hanno inventato nuove modalità d’azione: cortei in macchina o in bicicletta, mobilitazioni dai balconi, raduni digitali, marce virtuali, scioperi, boicottaggi e autoriduzioni dell’affitto si sono moltiplicati come forme di denuncia di ciò che la pandemia ha reso ancor più evidente e tanto meno tollerabile: la profondità delle disuguaglianze e le loro drammatiche conseguenze in termini di vite umane.

Nella maggior parte dei Paesi più colpiti dalla pandemia, i lavoratori del settore sanitario hanno chiesto la fornitura immediata di dispositivi medici di importanza vitale e di risorse da investire nel sistema sanitario pubblico. In Italia, 100mila medici hanno firmato una petizione per richiedere maggiori risorse per l’organizzazione dell’assistenza sanitaria decentralizzata a livello territoriale. A Milano il personale sanitario degli ospedali privati ha organizzato scioperi con occupazione dei luoghi di lavoro (pur mantenendo le distanze sociali) per protestare contro il peggioramento delle loro condizioni lavorative. Negli Stati Uniti infermieri hanno organizzato manifestazioni pacifiche, subendo aggressioni fisiche e verbali da attivisti della destra radicale che chiedevano la fine del lockdown. In Spagna, come in molti altri Paesi, i cittadini hanno espresso in vario modo il proprio sostegno per gli operatori sanitari.

In tutto il mondo i lavoratori della cosiddetta gig economy, compresi i riders, i drivers di Amazon e i lavoratori dei call-center, si sono mobilitati in scioperi non ufficiali, abbandonando i luoghi di lavoro, mettendosi in malattia e organizzando flashmob, per chiedere protezione contro il contagio e maggiori diritti. Spesso hanno anche denunciato i tentativi delle loro aziende di scoraggiare l’azione collettiva licenziando i dipendenti che avevano contestato le loro difficili condizioni di lavoro. Contro le disuguaglianze si sono anche battuti gli studenti che hanno richiesto riduzioni di tasse e contributi, e chi sta soffrendo per la mancanza di un posto di lavoro o per un drastico calo del proprio reddito.

Le proteste riguardano anche il crescente deterioramento delle condizioni ambientali. Un importante esempio di sciopero digitale è stato il quinto “Sciopero globale per il clima” organizzato da Fridays for Future, con gli attivisti che si sono geo-localizzati di fronte a luoghi altamente simbolici (come il Parlamento italiano). Le assemblee digitali hanno permesso agli attivisti di discutere le prospettive e di elaborare proposte. Questo è accaduto con il programma “Back to the Future”, che si è concentrato sul costruire una risposta alla pandemia che fosse socialmente equa e rispettosa dell’ambiente. Manifesti sono stati lasciati nelle piazze e sugli edifici per chiedere cambiamenti nelle politiche ambientali.

Come nella politica del conflitto in tempi non pandemici, altre modalità di protesta “di strada” hanno combinato la logica del numero – orientata a mostrare il consenso attorno alle loro proposte (come negli scioperi digitali o nelle petizioni) – con una logica di danno, creando costi per raggiungere i loro obiettivi (come nello sciopero dei lavoratori, ma anche negli scioperi degli affitti dei cittadini), e una logica di testimonianza, esprimendo il proprio impegno attraverso azioni collettive ad alto rischio, come in molte delle proteste di Black Lives Matter, violentemente attaccate da militanti della destra armata e represse dalla polizia in assetto antisommossa.

Le attività dei movimenti sociali durante pandemia non si limitano comunque alle proteste visibili. Gli attivisti hanno chiesto al potere politico ed economico di rendere conto delle loro azioni attraverso un attento lavoro di raccolta, elaborazione e trasmissione di informazioni sugli effetti del Covid-19 sui gruppi di cittadini più poveri e svantaggiati – come i detenuti, i lavoratori migranti e i senzatetto – ma anche sulla distribuzione disuguale delle attività di cura all’interno della famiglia e la violenza contro le donne. Gli attivisti hanno prodotto così una conoscenza laica che è altrettanto necessaria quanto la conoscenza specializzata dell’esperto. Attraverso l’uso di risorse digitali per la condivisione delle informazioni online, hanno contribuito a collegare i diversi campi della conoscenza che l’iper specializzazione della scienza tende a frammentare. Intrecciando le conoscenze teoriche con quelle pratiche, sperimentando idee differenti, basandosi sulle esperienze passate, prefigurano in questo modo un futuro diverso.

Oltre a proseguire le proteste e a favorire la diffusione di conoscenze alternative, i movimenti sociali hanno anche assolto a un compito particolarmente necessario in un momento così tragico: la produzione e la distribuzione di servizi. Di fronte alla limitata capacità delle istituzioni pubbliche (indebolite da decenni di politiche neoliberiste) di intervenire e fornire sostegno ai gruppi più deboli, gli attivisti hanno sviluppato le esperienze di un mutualismo critico, già sperimentate dopo la crisi sociale innescata dalla crisi finanziaria e in particolare dalle politiche di austerità adottate all’inizio degli anni 2010. Così organizzazioni della società civile e gruppi di quartiere e di base hanno distribuito cibo e medicine, prodotto mascherine e strumentazione medici, dato riparo ai senzatetto e protetto le donne dalla violenza domestica. Il principio della sovranità alimentare e dell’economia solidale si è così diffuso attraverso esperienze concrete.

Nel fare questo, gli attivisti si contrappongono a una concezione “top-down” della beneficienza o dell’umanitarismo, diffondendo regole di solidarietà che contrastano con l’estremo individualismo del capitalismo neoliberista. Attraverso interventi sociali, ricostituiscono le relazioni sociali interrotte molto prima della pandemia, e politicizzano le loro rivendicazioni, spostandole dalla richiesta di aiuti immediati a proposte per un cambiamento sociale radicale. Svolgendo queste attività, i movimenti sociali configurano sfere pubbliche alternative in cui la partecipazione viene favorita da una visione di solidarietà, frutto di un ricreato senso di un destino condiviso.

Con la loro azione, diversi gruppi (sia già attivi in passato che nati nel corso della pandemia) costruiscono legami organizzativi e personale, si connettono e creano ponti. In effetti queste energie si stanno incontrando intorno a una serie di sfide centrali per la costruzione di alternative nel mondo post-pandemico. Innanzitutto i movimenti stanno elaborando idee innovative su come contrastare le disuguaglianze crescenti nelle condizioni di lavoro e nel reddito, ma anche tra le generazioni, i generi, i gruppi etnici e i territori. Qui non si lotta solo per un ritorno a quei diritti del lavoro che il capitalismo neoliberista ha limitato, con conseguenze che sono diventate ancora più drammatiche durante la pandemia, ma anche per dare un reddito di base a coloro che sono stati espulsi o non sono mai entrati nel mercato del lavoro, per il diritto all’istruzione, per il diritto ad avere una casa in cui vivere, per la salute pubblica. 

La pandemia ha infatti messo in evidenza le conseguenze drammatiche – in termini di numero di vite perse – dell’accesso differenziato all’assistenza sanitaria pubblica in Paesi che (come gli Stati Uniti) hanno storicamente avuto uno Stato sociale debole, o Paesi in cui le politiche neoliberiste dei governi di destra sono state più aggressive (come nel Regno Unito). In altri Paesi (compresi quelli europei) le conseguenze della mercificazione dei servizi sanitari, i tagli delle risorse alle istituzioni pubbliche, i tagli al numero e allo stipendio dei lavoratori pubblici sono stati ben visibili nella diffusione e nella mortalità del virus. Oltre alle sfide immediate, la pandemia ha messo in evidenza i drammatici effetti di lungo termine delle disuguaglianze, colpendo duramente le minoranze etniche, gli anziani in case di accoglienza sovraffollate, gli abitanti dei quartieri più disagiati. Mettendo in luce l’importanza di affrontare il cambiamento climatico, il contagio è stato particolarmente intenso e la mortalità più elevata nelle aree più inquinate. Oltre all’aumento degli episodi di violenza contro le donne, la pandemia ha reso anche evidente l’importanza delle attività di cura e la loro diseguale distribuzione di genere con pesanti carichi sulle donne.

Oltre a rivendicare la giustizia sociale e ambientale, i movimenti sociali mobilitati nella pandemia ci ricordano anche che il percorso per raggiungere questi obiettivi non passa attraverso la centralizzazione del processo decisionale politico, e ancor meno attraverso scelte tecnocratiche, ma piuttosto attraverso la partecipazione dei cittadini. I giorni della pandemia sono stati infatti caratterizzati non solo da solidarietà ma anche da ricerca di un capro espiatorio tra i poveri o i migranti, accusati dai politici di destra di diffondere il virus. Sono stati giorni in cui si sono indebolite trasparenza e accountability democratiche con le dichiarazioni dello stato di emergenza usate, in forme e gradi diversi, per contenere il dissenso. I governi xenofobi hanno aumentato il ricorso ai rimpatri forzati e chiuso le frontiere anche ai rifugiati. Attraverso cortei di macchine (come in Israele) o in bicicletta (come in Slovenia), i gruppi progressisti hanno protestato contro i tentativi del governo di sfruttare la crisi per limitare la partecipazione politica e i diritti dei cittadini. 

In questa direzione, si possono valorizzare innovazioni democratiche sviluppate come risposta alla crisi finanziaria nell’ultimo decennio. Attraverso esperimenti deliberativi, la democrazia diretta, i processi costituzionali dal basso e la costruzione di movimenti politici, le idee dei commons evolvono, sottolineando il valore di beni pubblici che devono essere gestiti attraverso la partecipazione attiva dei cittadini, degli utenti e dei lavoratori. I periodi di profonda crisi possono quindi (anche se non automaticamente) innescare l’invenzione di futuri alternativi ma possibili. Mentre la pandemia cambia la vita di tutti i giorni, i movimenti sociali progressisti creano gli spazi necessari per intraprendere una riflessione sul mondo che verrà dopo la pandemia, il quale non potrà essere in continuità con quello pre-pandemico.

* Questo testo è una traduzione e adattamento di un articolo pubblicato in inglese il 19 maggio scorso sulla rivista “Interface: A journal for and about social movements”.