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Luci e ombre del Programma Nazionale di Riforma

Il Programma Nazionale di Riforma contiene interventi e misure condivisibili, ma c’è troppo poco su alcuni capitoli cruciali per il rilancio socioeconomico del Paese, dalla politica industriale alla sanità, dall’istruzione al fisco. Manca in particolare una strategia complessiva sull’intervento pubblico.

Con l’ultimo Consiglio dei ministri il governo arricchisce di un nuovo capitolo la sua politica per contrastare l’emergenza coronavirus: il Programma Nazionale di Riforma (PNR), la terza parte del DEF, posticipata da aprile a luglio a causa della crisi pamdemica. Il PNR dovrebbe rappresentare un passaggio fondamentale verso la costruzione della strategia pubblica per rilanciare il paese e l’economia italiana.

Le informazioni fornite dal PNR sono impressionanti: Pil a -8% nel 2020, disoccupazione all’11,5%, calo dell’occupazione per Unità di Lavoro Equivalenti a -6,5%. Un altro dato colpisce: dall’inizio della crisi sono stati già spesi per gli interventi d’emergenza (quasi tutti condivisibili e necessari) ben 179 miliardi, di cui due terzi sono andati in varie forme alle imprese. Se a queste risorse aggiungiamo, da qui alla fine dell’anno, 172 miliardi del Recovery fund, 39 del MES, 20 della prossima manovra di fine mese e, presumibilmente, 40 della prossima Legge di Bilancio, ci avviciniamo a quota 500 miliardi: una somma enorme con la quale si può veramente cambiare e rilanciare il Paese. 

Sarà così? Ancora non è possibile saperlo: tutto dipenderà dai piani che saranno allestiti a settembre (cosi si impegna il PNR) per avere i 172 miliardi dall’Europa.

Nel frattempo il PNR ci dice che gli investimenti pubblici salgono dal 2,4 al 3% del Pil (troppo poco), le spese per l’istruzione saliranno dello 0,4% (siamo ancora molto al di sotto della media europea per numero di laureati e riduzione della spesa scolastica), mentre migliori notizie si hanno sull’edilizia scolastica: sono stati già realizzati 6 mila interventi in questi mesi e si prospetta un secondo intervento su altri 3mila plessi scolastici, per una spesa di oltre 3 miliardi di euro.

Per la sanità, ancora non c’è una stima complessiva e organica. Molti interventi (soprattutto nel campo della telemedicina, della teleassistenza, delle cartelle elettroniche), ma non troviamo investimenti adeguati sulla medicina territoriale e sulla prevenzione, mentre sempre il PNR ci informa che servirebbero 32 miliardi per adeguare le infrastrutture sanitarie pubbliche del nostro paese: ecco dove bisognerebbe investire. Sul welfare la promessa di un Family Act e di un Assegno unico per la famiglia dovrà essere riempita di contenuti e misure concrete.

Sulla politica industriale, in particolare sull’industria dell’auto e la siderurgia, si scrivono cose condivisibili (l’impulso alla mobilità sostenibile e all’auto elettrica e alla siderurgia green), ma senza impegni concreti e dettagliati. Mentre in Germania e in Francia i governi elaborano dei piani pubblici organici per il sostegno dell’automotive, il governo italiano lascia fare alle imprese, che fanno male. La 500 elettrica della FCA ancora deve essere lanciata sul mercato. Sull’occupazione c’è poco, a parte gli interventi di protezione e tutela sociale, con la CIG e altre misure per il lavoro autonomo. Nel PNR viene ricordato che “tra il 2008 e il 2017 il blocco del turnover ha prodotto una riduzione pari al 5,6% del numero dei dipendenti pubblici”, con effetti pesanti sulla sanità e l’istruzione. Non ci sono indicazioni su come colmare questo gap.

Sulla riforma del fisco c’è solo l’impegno a farla, ma non si dice come: si legge solo che sarà un “fisco equo, semplice e trasparente”. Mancano i criteri di progressività (anzi si prefigura una riduzione delle aliquote) come ci richiama l’art. 53 della Costituzione. I Sussidi ambientalmente dannosi (SAD) saranno solo “rivisti” e non cancellati o trasformati in Sussidi ambientalmente favorevoli (SAF). Per converso, è positivo che le ultime 20 pagine del PNR siano destinate a fare il punto della condizione del nostro Paese rispetto alla realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals-SDGs): emergono molti ritardi del nostro Paese sulla parità di genere e l’istruzione, e i dati sulla povertà e le diseguaglianze sono peggiori di molti altri paesi europei.

Sbilanciamoci!, intervenendo agli Stati generali del governo sull’economia ha riaffermato le proposte e l’impianto del documento “In salute, giusta, sostenibile, l’Italia che vogliamo” (https://sbilanciamoci.info/firma-anche-tu-per-unitalia-in-salute-giusta-e-sostenibile/): serve una radicale svolta delle politiche pubbliche per il lavoro e il welfare, un nuovo modello di sviluppo sostenibile, la riduzione delle spese militari, la cancellazione delle grandi opere. 

Molto di questo non c’è ancora nel PNR, che pure rappresenta un passo in avanti nella costruzione di una strategia di rilancio del Paese. Ci sono però ancora troppi punti interrogativi e pagine da scrivere, mentre per alcuni settori le misure sono ancora troppo modeste (investimenti pubblici, istruzione, sanità, eccetera) e devono essere notevolmente rafforzate. Poco c’è sulla politica industriale e sulla strategia dell’intervento pubblico. C’è ancora molto da fare: sicuramente l’autunno rappresenterà un appuntamento decisivo per fare del rilancio del Paese qualcosa di più di una promessa.